La felicità, nella sua fuggevolezza, è veramente il desiderio più sentito da tutti noi, è l’oggetto della nostra incessante ricerca, conquista agognata. Lo si capisce, sbirciando tra le vetrine delle librerie, dalla grande offerta di titoli o navigando su internet, dove è facile imbattersi in una ricca quanto variopinta offerta di consigli pratici e consulenze su come fare per essere felici e raggiungere il benessere. Non sempre, però, tutti coloro che si proclamano esperti sono così esperti, e pertanto non sempre è facile trovare i consigli giusti cui affidarsi. Questo perché non tutti i consigli poggiano su una solida conoscenza scientifica, anzi a volte, e nei peggiori dei casi, sono così astratti da essere in completa contraddizione con quanto confermato dalle neuroscienze sul funzionamento del cervello e, quindi, della nostra mente.
E’ per questo che la mia curiosità ed attenzione sono state recentemente catturate dal saggio “The Upward Spir : Using Neuroscience to Reverse the Course of Depression, One Small Change at a Time” il cui autore è il neuroscienziato americano Alex Korb.
Nel suo saggio Korb espone quattro semplici strategie, utili ad arrestare quella che lui chiama”la spirale discendente” (ovvero quella depressiva, che porta a tristezza, apatia, affaticamento) e far sì che il nostro cervello attivi invece “la spirale ascendente”, quella che porta a un maggior senso di benessere e felicità personali.
Queste, in sintesi, le 4 abitudini che, secondo Korb, “nutrono” il nostro cervello contribuendo a renderci felici: guardiamole una ad una e vediamone il perché…scientifico.
1) La Gratitudine: chiediti: “ Di cosa sono grato oggi?”
Non so se sia successo anche a voi, ma ritornando con la memoria ad alcuni momenti della mia vita, mi sono accorta come sia stato facile, anzi naturale , di fronte a errori o insuccessi, a scontri o contrasti, rispondere ad essi allo stesso modo, ovvero sprofondando in un forte senso di colpa o addirittura di vergogna, oppure essere preda di raptus di orgoglio. Eppure non tutte le situazioni erano uguali, e non avevano a che fare con una colpa reale; avrei piuttosto potuto focalizzarmi , con serena lucidità, sulle opportunità di apprendimento e di crescita che quella esperienza stava offrendomi. Da qualche decennio ormai, le emozioni autoconsapevoli o secondarie, quali colpa vergogna e orgoglio sono oggetto di una crescente attenzione e di studio da parte del mondo scientifico in quanto esse sono intrinsecamente legate allo sviluppo dell’autoconsapevolezza, della percezione di sé e del confronto sociale. È possibile anche parlare di colpa e vergogna in termini di predisposizioni personali o tendenze ricorsive attraverso cui un soggetto interpreta errori o fallimenti, il più delle volte senza tenere conto delle variabili circostanziali. Viene spontaneo chiedersi perché al cervello “piaccia” ciò, perché ne sia piacevolmente attratto tanto da farne un’abitudine che, nella sua evoluzione peggiore, assume i colori di una nevrosi. Ebbene, che ci crediate o no, il senso di colpa, la vergogna, come anche l’orgoglio, attivano la regione cerebrale della ricompensa*,diventando essi stessi stimoli gratificanti che funzionano come rinforzi positivi. Ovvero, innescando queste emozioni è come se il cervello stesse premiando se stesso, rinforzando di conseguenza la scelta di tale comportamento emozionale.
*[n.d.a: La regione, o meglio , il sistema di ricompensa può essere definito come un insieme di strutture cerebrali dopaminergiche che sono responsabili della cognizione ricompensa-correlata, tra cui il rinforzo positivo (apprendimento) e il “wanting” (o desiderio) e il “linking” (o piacere ): il fine ultimo è quello di premiare, memorizzare e rinforzare tutti i comportamenti correlati, in maniera più o meno diretta, con la sopravvivenza.]
Scrive Korb (da The Upward Spiral)
…nonostante le differenze che intercorrono tra loro, vergogna, colpa e orgoglio ( la più potente e positiva delle tre emozioni),attivano circuiti neuronali simili, quali la corteccia prefrontale dorsomediale, l’amigdala,l’insula e il nucleoaccumbens. Ovvero le aree della ricompensa. Questo spiega perché può essere così attraente e istintivo autocaricarsi di sensi di colpa e di vergogna.
Un altro comportamento tipico, spesso inconsapevole ed automatico, ma che va ad inficiare il nostro stato di benessere, è quello di preoccuparsi intensamente, e anzitempo, di fronte all’insorgenza di un problema, di un cambiamento improvviso, di un imprevisto..Esiste una spiegazione neurofisiologica anche per questo: nel breve periodo, preoccuparsi ci fa sentire meglio perché ci dà l’impressione di fare qualcosa per porre rimedio ai nostri problemi.
…la preoccupazione può contribuire a calmare il sistema limbico, aumentando l’attività nella corteccia prefrontale e diminuendo l’attività dell’amigdala (ovvero quella parte del cervello/sistema limbico deputata alla processazione delle emozioni). Contrariamente a quanto sembrerebbe intuitivo pensare, ciò dimostra che in uno stato di ansia è meglio fare qualsiasi cosa, persino preoccuparsi, piuttosto che non fare nulla.
La gratitudine è straordinaria, influisce sul nostro cervello mettendo in moto una serie di reazioni biologiche, in particolar modo stimolando quelle aree del cervello che producono dopamina . La dopamina è un neurotrasmettitore indispensabile per numerose attività cerebrali, tra queste quella di mediare il piacere nel cervello. È rilasciata durante le situazioni piacevoli e stimola l’individuo a cercare le attività o le occupazione piacevoli. Ma c’è dell’altro. Scrive Korb:
Uno degli effetti più potenti della gratitudine è che può aumentare la produzione di serotonina ( nota come ormone del buonumore). Cercare di pensare a ciò per cui siamo grati, ci costringe a focalizzarci e concentrarci sugli aspetti positivi della nostra vita. Questo semplice atto aumenta la produzione di serotonina nella corteccia cingolata anteriore regalandoci una sensazione di gioia.
Esprimere gratitudine non agisce positivamente solo a livello cerebrale, ma anche a livello sociale, migliorando le relazioni e creando un’atmosfera condivisa di gratitudine e benessere che innesca un processo virtuoso.
Accade però che, a volte, la vita si presenti nella sua più spietata durezza tanto che appare impossibile o veramente difficile riuscire a trovare qualcosa o qualcuno per cui essere veramente grati. Che fare allora?
Le neuroscienze ci dicono che per godere degli effetti benefici della gratitudine, non è importante TROVARE ciò di cui essere grati, quanto CERCARLO. E’ la ricerca di ciò per cui essere grati che stimola il cervello a produrre dopamina e serotonina.
Non è trovare ciò di cui essere grati che conta di più, quanto piuttosto ricordarsi di cercarlo. Ricordarsi di essere grati è una forma di intelligenza emotiva (sia personale che sociale)
Ma cosa accade alla nostra mente quando perdiamo il controllo rispetto alla nostra emotività, quando veniamo sequestrati e sopraffatti dalle emozioni ( soprattutto quelle negative) e abbiamo la sensazione che non riusciremo a venirne fuori? Cosa possiamo fare?
Si sa che siamo spesso soggetti ad una tempesta emotiva, nella quale le sensazioni si mescolano e si confondono e con esse i pensieri , lasciandoci nella inconsapevolezza di cosa ci sta accadendo e nell’impossibilità di intraprendere qualsiasi azione o soluzione. In questo caso c’è solo una cosa da fare:
2) Dare un nome alle emozioni negative
Per uscire da questa condizione, Korb consiglia
di dare un nome alle emozioni negative, descrivendole in poche parole o usando un linguaggio simbolico fatto di metafore o semplificazioni. Fare ciò richiede il coinvolgimento della corteccia prefrontale (dei processi cognitivi quindi) che riduce l’attivazione del sistema limbico ( il nostro cervello emotivo). In sostanza, descrivere un’emozione in una o due parole aiuta a ridurre l’impatto dell’emozione stessa.
In altre parole, essere consapevoli dell’emozione insorta, consente la sua modulazione e un utilizzo funzionale della stessa. Modulazione e non soppressione, perché sopprimere “un’esperienza” emotiva risulta controproducente: può avere ad esempio ripercussioni sulla nostra concentrazione, sulla capacità attentiva , sulla focalizzazione,sulla capacità di scelta e persino sulla motivazione. Perché nonostante si reprima la manifestazione esteriore dell’emozione, il sistema limbico continua ad essere eccitato, lasciando l’individuo in uno stato latente di agitazione che ulteriormente va ad agire sul sistema limbico, creando una sorta di circolo vizioso disfunzionale.
Dare un nome alle emozioni è pertanto uno strumento fondamentale per modulare e padroneggiare l’esperienza emotiva; esso fa parte delle pratiche di consapevolezza su cui si basano la mindfulness e, da ancor più tempo, la meditazione.
3) Prendere una decisione
La prima cosa che mi viene in mente, leggendo questo punto suggerito da Korb, è la piacevole sensazione di riposo, di liberazione e di pace che segue il momento in cui si è finalmente presa una decisione. Immagino sia una sensazione che conosciamo o abbiamo sperimentato tutti. E questo non è un caso. Le neuroscienze, infatti, dimostrano che prendere una decisione riduce la preoccupazione, l’ansietà… oltre che aiutarci a risolvere problemi nella pratica.
“Prendere una decisione implica creare delle intenzioni e porsi degli obiettivi da raggiungere. Tutte queste attività fanno parte dello stesso circuito neurale e coinvolgono la corteccia prefrontale in un modo positivo. Prendere una decisione aiuta anche a superare l’attività dello striato, che, in genere, spinge verso impulsi negativi e routine. Infine, prendere una decisione cambia la nostra percezione del mondo perché si trovano delle soluzioni ai problemi, calmando il sistema limbico”.
Non è sempre facile, però, decidere,scegliere. credo che in ognuno di noi ci sia il desiderio e la tensione di prendere la decisione migliore,ma dobbiamo ricordarci che essere perfezionisti, alla continua ricerca della soluzione perfetta al 100% può essere fonte di stress. Il criterio da seguire per evitare ciò è prendere una decisione “buona abbastanza” . Infatti cercare di essere perfetti, non solo porta nel processo decisionale troppa emotività, aumentando l’attività della corteccia prefrontale ventromediale, ma ci fa anche provare la sensazione di non avere il controllo. ” Al contrario, riconoscere che una decisione “abbastanza buona” possa già essere una buona scelta, attiva più le aree prefrontali dorsolaterali della corteccia che ci consentono di provare una maggiore sensazione di controllo sulle situazioni e su noi stessi.”
Quindi quando prendiamo una decisione ,il nostro cervello sente di avere il controllo. E questa sensazione di controllo riduce lo stress. Ma c’è un altro aspetto ancora più affascinante: prendere una decisione, decidere consapevolmente ed intenzionalmente, stimola i centri del piacere, attraverso l’incremento dell’attività di rinforzo della dopamina. Questo significa che il raggiungimento di un obiettivo che si è deciso intenzionalmente di raggiungere, adottando tutte le strategie e le energie necessarie, dà molto più piacere di un risultato raggiunto per caso.
Questo meccanismo fisiologico spiega perché, ad esempio, per qualcuno andare in palestra o fare esercizio fisico regolare può sembrare così difficile. Se andiamo in palestra perché ci prescrivono di farlo e quindi non è una decisione volontaria, il nostro cervello non ottiene la giusta spinta al piacere e quella attività diventa solo fonte di stress. Questo è quanto intendo nel dire che, per funzionare, qualsiasi metodo, incluso il metodo WELL, deve essere frutto di una decisione e di una scelta consapevole e non di una moda o di un imperativo esterno. Ed è per questo stesso motivo che è possibile cambiare un’abitudine solo attraverso un consapevole atto decisionale. Scrive Korb:
Non scegliamo semplicemente le cose che ci piacciono:ci piacciono, ovvero ci procurano piacere, le cose che scegliamo.
Mutuando dalla terminologia adottata da Goleman nell’Intelligenza emotiva, essere grati, etichettare le emozioni, prendere decisioni, sono strategie per il raggiungimento della felicità che appartengono “all’area personale”, ovvero che dobbiamo adottare con noi stessi e per noi stessi.
Ma noi siamo esseri sociali, la nostra felicità è anche legata al rapporto con gli altri. Viene spontaneo a questo punto chiedersi: cosa c’è che posso fare con gli altri e che mi conduce sulla strada della felicità? Le neuroscienze hanno una risposta anche per questo:
4) Cercare un contatto fisico
…ovviamente non in maniera indiscriminata, il che potrebbe procurarci un sacco di guai! Noi abbiamo bisogno di sentirci amati ed accettati dagli altri: quando questo non accade proviamo dolore, sì, dolore, non delusione o imbarazzo. Uno studio dimostra che l’esclusione sociale attiva lo stesso circuito del dolore, ovvero la corteccia cingolata anteriore e l’insula.
Le relazioni sono molto importanti per il benessere del nostro cervello. In un mondo in cui le relazioni viaggiano su realtà virtuale, attraverso messaggi scritti e scambiati sui social, su whats app,per email, ci si sta dimenticando dell’importanza della presenza fisica e del contatto per creare il benessere relazionale.
“Uno dei modi principali di rilasciare ossitocina ( l’ormone dell’amore) è attraverso il contatto fisico. Ovviamente, non è sempre appropriato toccare le persone, ma contatti poco prolungati come strette di mano e pacche sulle spalle di solito sono accettati. Con le persone con cui siamo più in intimità, possiamo e dobbiamo usare maggiormente il contatto fisico.
Dunque, avere un contatto fisico è un atto molto potente a cui non diamo abbastanza importanza: ci rende più convincenti, aumenta la performance in team, migliora la capacità di stabilire relazioni intime, ecc. ecc. … Allo stesso modo l’ abbraccio, soprattutto lungo, favorisce il rilascio dell’ossitocina, un ormone che riduce l’attività dell’amigdala; la ricerca sostiene che ricevere cinque abbracci al giorno per quattro settimane produce un duraturo stato di benessere e di felicità. Fantastico! Ma se non abbiamo nessuno da abbracciare o che ci abbracci?
Non disperiamo: le neuroscienze dicono che anche il “massaggio” ha gli stessi effetti benefici! I risultati sono abbastanza chiari:
il massaggio aumenta la serotonina del 30%, diminuisce gli ormoni dello stress (cortisolo), aumenta i livelli di dopamina che aiuta a creare nuove buone abitudini. Inoltre il massaggio riduce il dolore, perché il sistema dell’ossitocina attiva le endorfine.;migliora il sonno e riduce l’affaticamento.
Quindi trascorriamo il nostro tempo con altre persone e abbracciamo, abbracciamo, abbracciamo…o andiamo a farci fare un lungo massaggio!
CONCLUDENDO:
La spirale crescente di felicità inizia con un atto di gratitudine. Questo perché, come dice Korb,”… tutto è interconnesso. La gratitudine migliora il sonno. Il sonno riduce il dolore. La riduzione del dolore migliora il nostro stato d’animo. L’umore migliorato riduce l’ansia, migliorando la messa a fuoco e la pianificazione. Focus e pianificazione aiutano a prendere decisioni buone e questo riduce l’ansia e aumenta il piacere. Il piacere ci rende più disponibili alla gratitudine…e così riparte la spirale in un circuito di feedback positivo. E il nostro benessere emotivo facilita le nostre relazioni sociali,il contatto, il che ci renderà più felici.”