Viviamo ormai da tempo in una società dove la bellezza e l’affrancamento dai segni del tempo sono un tale imperativo che si è arrivati ad un utilizzo ormai massivo della chirurgia estetica. E questo senza alcuna distinzione d’età…e di pudore. Si è quasi arrivati ad una omologazione esteriore: stanno scomparendo, a colpi di bisturi, i menti volitivi, i nasi aquilini o a patata, i profili greci, le labbra sottili, i visi squadrati, le piccole pieghe espressive, tutti tratti che conferivano personalità e distinzione ad un volto rendendolo bello nella sua unicità. Abbondano invece labbra supersiliconate, di quelle non previste da madre natura; sorrisi paralizzati, gote esplosivamente turgide, fronti che non riescono più ad accigliarsi e a lasciar trasparire un’emozione, seni prorompenti su corpi così consumati dagli anni o da diete severissime che a volte sembrano quasi non riuscire a stare in piedi; visi di bambola dai contorni perfetti e dai quali sono state cancellate tutte le tracce della vita…persino tutti i sorrisi accumulati nel tempo. Eccessi che raccontano che le donne non accettano più di invecchiare e che sono disposte a trasformarsi in una specie di bambole di plastica pur di inseguire l’apparenza di un’eterna giovinezza, della desiderabilità e della perfezione. Ma che cosa sta succedendo a noi donne, alle nostre mamme e alle nostre sorelle e persino alle nostre figlie? Che modello stiamo lasciando in eredità alle nostre figlie? Sono questi eccessi che raccontano di mania, di dipendenza…di paura. La paura di non contare e valere niente, di essere ignorate, emarginate, abbandonate nel momento in cui non fossimo abbastanza belle o perdessimo l’avvenenza. Eppure ci sono voluti anni e anni di faticose lotte e di acculturamento perché noi donne imparassimo a prenderci cura di noi stesse e a farlo per noi, per il nostro benessere interiore quanto esteriore. Anni in cui abbiamo appreso e messo in pratica l’importanza del dedicare spazi del nostro tempo alla conoscenza delle nostre emozioni, alla cura della salute e della forma psicofisica attraverso l’esercizio fisico regolare, lo sport, una sana alimentazione, lo studio e l’aggiornamento. Anni in cui le donne di mezza età, un tempo considerate finite con la fine del loro ruolo sociale di madri e mogli, hanno ritrovato la loro grande energia vitale (nell’unità corpo mente spirito), l’entusiasmo di una progettualità, il sapore della libertà e dell’affrancamento da una succube dipendenza. E soprattutto hanno imparato la padronanza sulla propria vita emotiva.
Mi sono trovata spesso a chiedermi che impatto potesse avere su noi donne, sulla nostra vita interiore e relazionale, questa aspettativa sociale di perfezione estetica senza età, aspettativa che si fa ancora più pesante quando è anche delle persone che fanno parte della nostra quotidianità . Come donna mi sono confrontata più volte con il mio corpo, con la mia fisicità, con le trasformazioni che l’età e le fasi della vita segnano su di esso. Non è stato sempre facile accettarmi, ma non mi sono sottratta ad un continuo lavoro su me stessa, un lavoro di consapevolezza e di cura.
Come madre di tre figlie, ora più che adolescenti, mi sono anche chiesta che cosa io abbia loro inconsapevolmente insegnato sulla bellezza, sul suo valore e su di cosa essa sia fatta. Già quando erano adolescenti, mi domandavo quale fosse la giusta misura della cura verso me stessa, quella che non desse una centralità assoluta, se non addirittura una dipendenza maniacale, all’esteriorità, ma che pure non fosse trascuratezza o carenza di amor proprio. Mi sono chiesta se sia stata capace di trasmettere alle mie figlie l’amore, il rispetto, e la soddisfazione tanto per ciò che erano dentro quanto per quello che erano fuori. Cosa che non è sempre stata facile per me: sono cresciuta con una madre che non smetteva di svilirmi sottolineando che avevo il bacino largo, che trovava troppo lunghe le mie gambe tanto da costringermi ad appendermi ovunque fosse possibile, allo scopo di allungare il busto. Sentivo attraverso le sue parole che il mio aspetto non corrispondeva ai cliché condivisi della femminilità.Sentivo che l’imponenza del mio fisico non corrispondeva alla delicatezza del mio animo. Le mie forme, insieme al mio metro e ottantuno di altezza, mi rendevano appariscente e spesso soggetta ad apprezzamenti e complimenti a volte sfrontati, mentre io amavo la riservatezza, l’intimità, la raffinatezza e in quei complimenti audaci non mi riconoscevo, anzi ne rimanevo ferita fino a quasi averne paura . Sentivo il mio corpo come un nemico perché rimandava agli altri un’immagine che non era la mia. Ci ho messo molto tempo prima di amare il mio aspetto, prima di andarne fiera ed orgogliosa, prima di sentirlo specchio della mia anima, strumento della mente.
Come counselor, ascolto spesso dolorose storie di giovani donne che hanno mortificato, già a partire dalla tarda infanzia, la loro femminilità, che hanno ucciso la loro nascente identità di donne, per le parole taglienti di una madre o di una nonna che negavano il loro valore a causa del peso o delle forme accentuate del corpo, per un modo di vestire, per un modo di portare i capelli. L’eco di quelle parole continua a risuonare a lungo nelle loro vite, soprattutto nei momenti in cui devono mettersi in gioco, esporsi, affrontare un rischio, una scelta. La loro autostima sembra mortalmente ferita.
Mi è capitato ieri , sfogliando una rivista australiana on line, “The Sydney Morning Herald”, di soffermarmi su un articolo che mi ha particolarmente colpito e commosso. Riporta il testo di una lettera tratta dal ” Dear Mam”, una raccolta scritta da star australiane appartenenti al mondo dello sport, della musica, della moda. Tutte queste lettere sono indirizzate ad una mamma, a quella di ognuno degli autori e sono l’occasione per rivelare ciò che segretamente avrebbero voluto dirle, ma che non hanno avuto ancora occasione di fare. O che non hanno più occasione di dire
Quella che segue è la traduzione che ho fatto di una di queste. Mi hanno toccato le riflessioni in essa contenute, e per questo le condivido con te.
When your mother says she is fat ” Quando tua madre dice di essere grassa”
Cara mamma,
avevo 7 anni quando ho scoperto che eri grassa, brutta e orribile. Fino a quel momento ho sempre pensato che fossi bellissima e che lo fossi nel senso reale del termine.
Ricordo che mi piaceva sfogliare un vecchio album fotografico per cercare una tua foto dove eri in posa, in piedi, sul ponte di una barca. Il tuo costume bianco senza bretelle era cosi alla moda, da sembrare quello di una star del cinema. Ho tirato fuori spesso quel costume bianco che tenevi ben nascosto in fondo al tuo cassetto e mi immaginavo a indossarlo quando fossi diventata abbastanza grande. Quando fossi diventata come te.
Ma tutto è cambiato quando, una sera, mentre ci stavamo vestendo per andare ad una festa mi hai detto: “Guardati! sei così bella, sottile e amabile. E invece guarda me, grassa, brutta, orribile”. In un primo momento non riuscii a capire a cosa ti stessi riferendo. ” Non sei grassa” risposi con grande innocenza e convinzione. “Si che lo sono, piccola mia” rispondesti ” lo sono fin da quand’ero una bambina”
Nei giorni successivi a quella sera, feci delle dolorose scoperte che cambiarono tutta la mia vita. Imparai che:
- – Doveva essere vero che eri grassa, perché le mamme non dicono bugie.
- – Essere grassa significa essere brutta.
- – Quando fossi cresciuta, sarei stata come te. Questo significava che sarei diventata grassa e orribile.
Alcuni anni più tardi ho pensato a quella conversazione e a tutte le centinaia che seguirono e maledissi ogni volta in cui dicevi di non sentirti attraente, sicura e determinata. Perché, essendo tu il mio primo e più importante modello, mi hai insegnato a credere lo stesso di me.
Ad ogni smorfia che facevi ogni volta che ti guardavi allo specchio, ad ogni miracolosa dieta che iniziavi e che avrebbe cambiato la tua vita, ad ogni cucchiaio che mangiavi colpevole dicendo “in realtà non dovrei”, ho imparato che le donne dovrebbero essere magre per essere degne e rispettabili. Le donne non dovrebbero mai non esserlo, perché il loro grande contributo al mondo è la bellezza fisica.
Come te, è tutta la vita che mi sento grassa. E quando ho cominciato a pensare di essere grassa, ho cominciato anche a sapere che non valevo nulla.
Peró, ora che sono adulta e che sono madre, so che darti la colpa dell’odio che provo per il mio corpo, non mi aiuta. Ed è ingiusto. Adesso capisco che anche tu sei stata il prodotto di una lunga e fitta generazione di donne alle quali è stato insegnato ad odiare se stesse.
Pensa all’esempio che ti ha dato tua nonna. Anche se si potrebbe descrivere come un’elegante vittima della carestia, si è messa a dieta ogni singolo giorno della sua vita fino a quando è morta a 79 anni. Si truccava anche per andare a ritirare la posta per paura che qualcuno la vedesse senza trucco.
Ricordo la sua risposta “compassionevole” quando hai detto che papá ti aveva lasciato per un’altra. Il suo primo commento è stato: “non capisco perché ti abbia lasciato. Ti prendi cura di te stessa, ti metti il rossetto, sei un pò sovrappeso ma non troppo”.
Prima di andarsene, nemmeno papà riusciva a placare il tormento che provavi per l’immagine del tuo corpo. “Per favore Jan” –lo sentivo dirti- “Non è tanto complicato. L’energia interna contro l’energia esterna. Se vuoi dimagrire devi solamente mangiare meno”.
Quella sera, a cena, ti ho visto provare quella cura per perdere peso che ti disse papà: “energia interna, energia esterna: per carità, Jan, devi solo mangiare di meno”. Ti sei servita degli spaghetti cinesi (Ti ricordi? come nei sobborghi australiani del 1980, una combinazione di carne macinata, cavolfiore e salsa di soia: era il meglio dell’alta cucina esotica).
Tutti avevamo la cena servita nel piatto, eccetto te. Tu ti sei servita i tuoi spaghetti cinesi in un piccolo piatto. Mentre ti sedevi di fronte a questo patetico cucchiaio di carne macinata, le lacrime scorrevano silenziose sul tuo viso. Io non ho detto nulla. Nemmeno quando le tue spalle hanno cominciato ad agitarsi per l’angustia. Abbiamo mangiato in silenzio. Nessuno ti ha consolata. Nessuno ti ha detto di smettere di essere ridicola e di mangiarti un bel piatto di spaghetti. Nessuno ti ha detto che ti voleva bene e che andavi già bene così come eri. Le tue conquiste e il tuo coraggio – eri la maestra di bambini con necessità speciali e madre di tre figli- sono state sempre considerate insignificanti rispetto ai centimentri di circonferenza che non potevi perdere.
Mi si è spezzato il cuore nel vederti perdere la speranza e mi dispiace profondamente di non essere intervenuta in tua difesa. Avevo capito che era colpa tua se eri grassa. Avevo sentito papà che descriveva la perdita di peso come un processo semplice al quale tu non riuscivi ancora a far fronte. La morale era: non ti meritavi niente e non meritavi nemmeno compassione.
Però, mamma, mi sono sbagliata. Adesso capisco quello che si sente a crescere in una società che dice alla donna che quello che importa veramente è la sua bellezza mentre allo stesso tempo definisce un ideale di bellezza che è completamente fuori dall’essere raggiungibile. Conosco a il dolore che deriva dall’ interiorizzare questi messaggi.
Mamma,ci siamo trasformate nelle carceriere di noi stesse e ci infliggiamo il nostro castigo perché falliamo nel tentativo di essere all’altezza. Nessuno è più crudele di quello che siamo con noi stesse.
Però questa pazzia deve finire, mamma. Adesso. Ora. Ci meritiamo qualcosa di meglio che passare i giorni amareggiate per i pensieri negativi sul nostro corpo desiderando che sia un altro.
E non si tratta solo di te e di me. C’è anche Violet,la tua nipotina:ha solo tre anni e non voglio che odi il suo corpo reprimendo la sua felicitá, la fiducia in se stessa e il suo potenziale. Non voglio che Violet creda che la bellezza sia il valore più importante e che da questa dipenda quanto vale. Quando Violet ci osserva per apprendere a essere una donna,dobbiamo essere per lei i migliori esempi. Abbiamo bisogno di farle vedere con le parole e con le azioni che la donna vale essendo semplicemente com’è. E perché lei ci creda, dobbiamo credere in noi stesse.
Man mano che invecchiamo, perdiamo coloro che amiamo a causa di incidenti o malattie. La morte è sempre tragica e avviene troppo presto. A volte penso a cosa non avrebbero dato questi amici – e le persone che vogliono loro bene- per rimanere un pò più tempo in un corpo sano. Un corpo che gli avesse permesso di vivere un pò di più. La dimensione dei polpacci o i lineamenti del viso non sarebbero stati importanti. Essere vivi , questo era il corpo perfetto.
Anche il tuo corpo è perfetto. Ti permette di dare un posto al tuo sorriso e contagiare tutti con la tua risata. Ti dà le braccia per abbracciare Violet e stringerla fino a quando comincia a ridere. Ogni momento che passiamo preoccupandoci dei nostri “difetti” fisici, è un momento perso, una porzione di vita stupenda che non avremmo mai più indietro.
Permettiamoci di onorare e rispettare i nostri corpi per quello che fanno e non per quello che sono. Sforziamoci di avere una vita sana e attiva, lasciamo che il nostro peso cada dove deve cadere e lasciamo al passato l’odio per il nostro corpo, perché è al passato che appartiene
Quando da piccola guardavo quella foto di te con il costume bianco, i miei occhi innocenti di bambina vedevano la verità.
Vedevano amore incondizionato, bellezza e saggezza.
Vedevano mia madre.
Con amore, Kasey xx