di Lorenza Cappanera
Quando Rosarita mi ha chiesto cosa ne pensassi del “ femminile “ in generale e, più in particolare, della diatriba radiofonica avvenuta di recente fra lo psicologo Raffaele Morelli e la scrittrice Michela Murgia, lì per lì non volevo nemmeno rispondere. Sulle prime la consideravo la solita “ cagnara” fatta ad hoc da parte di due personaggi famosi per attrarre l’ attenzione e mantenere la ribalta pur nel clima sonnecchioso da prima calura estiva. Anche perché nel magico mondo della comunicazione “l’horror vacui” è sempre latente e va combattuto anche a suon di sproloqui e frasi senza senso.Come quelle di Morelli : “quando una donna esce di casa e nessuno si accorge di lei allora deve cominciare a preoccuparsi”. Ho immaginato una donna, piuttosto nevrotica e insicura di sé, uscire e rientrare a casa vestendosi e rivestendosi una decina di volte finchè qualcuno non le fischia dietro e non le urla “ ah bbona”. Ed ecco che per lei finalmente la giornata acquista un senso.Ovviamente la scrittrice, che di femminile ha veramente poco o niente, replica stizzita in malo modo con argomenti che poco hanno a che fare con l’argomento. Peccato. Un’occasione persa. Si perché si è proprio persa in discorsi di bamboline da dare anche ai maschietti in età puberale e poi vediamo cosa ne esce fuori. “ Ma la donna ha a che fare con la forma – cerca di zittirla Morelli “ di cui è vera cultrice e dea. Se ai bambini dai le bamboline le gettano e si mettono a giocare coi trattori.”
E’ allora che mi è scattato il trip: la forma. La forma, la forma!“ Il corpo è governato dalla forma – asseriva il grande Hillman – dettà psichè.” La quale non è il corpo sinuoso di una donna in cerca di attenzioni, ma l’anima in carne ed ossa, finalmente! Ovvero quello che noi siamo. Per sapere che forma abbiamo Hillman consigliava di usare un calzino di lana, oppure una scarpa vecchia. Ecco, indossate il calzino a lungo oppure prendete la scarpa vecchia e vedrete la vostra forma. E’ quella con cui avete sempre a che fare.
Ricordo che rimasi allibita. Mi misi freneticamente a cercare le scarpe più vecchie ed usate che avevo, quelle che non ho mai osato buttare perché le amavo più di me stessa e ho cominciato a fissarle: era quella la mia anima dunque? Altro che abito svolazzante e corpo ancheggiante da giovane fanciulla in fiore, l’anima si rivela quando è usata, quando è vecchia, quando stai per buttare via tutto e invece no, perché è grazie agli anni che passano, grazie al tempo trascorso che acquista carattere. E forma.Tiè, tieni questa Morelli.
Pensavo di finirla lì ma non era finita affatto. Era appena cominciata. Perché il bello è venuto fuori quando ho cominciato a chiedermi che cos’era il femminile. Avevo tra le mani un libro “ Le Metamorfosi” di Ovidio ed ero ai primi capitoli. Qui c’era un Fetonte che, andato oltre la sua natura, precipita nel caos, trainato da due cavalli che non sa condurre nel cosmo. Il padre, Apollo, disperato gli grida : “ tu hai chiesto cose che non sono da mortale, maledetto me quando te le ho concesse!”
Nel mentre che leggevo a volte sospendevo e, come faccio quando ho un po’ di tempo, osservo il mare e penso. Penso a quell’andare oltre la forma, di cui parla Ovidio, oltre ciò per cui si è nati. Non so perché ma il mare mi rappresenta in toto, a volte resto a fissarlo per ore senza capire che cosa veramente sia e allora arriva un illuminazione: è un’ enorme pancia, un immenso ventre materno, un liquido amniotico dove sguazzo beatamente in attesa di venire al mondo o rinascere di continuo a seconda dei casi. Ecco cos’è il femminile! E’ una pancia. Un luogo di accoglienza. Come una figura che apre le sue ampie braccia e ti fa entrare e così accoglie le tue paure, le tue emozioni, le attese , le speranze… cioè la vita stessa! E in questo spazio di accoglienza avviene l’insperata osmosi: l’ operazione alchemica dove da uno stato si passa ad un altro, dove il piombo si trasforma in oro, da una vita si passa ad un’altra vita.

Ovidio mi viene ancora in aiuto.Nel mito di Apollo e Dafne, un mito che mi piace non foss’ altro perché adoro il Bernini, il quale lo rappresenta nella stupenda statua che si trova nel museo di Villa Borghese a Roma, , la ninfa, colpita da Cupido con una freccia dalla punta di piombo ( guarda caso), mentre Apollo viene colpito da una freccia con una punta in oro, fugge dall’irruenza e focosità del dio che la insegue e la brama follemente. Dafne, che corre da sempre libera per i boschi, invoca aiuto al padre Peneo, dio dei fiumi. Chiede di tramutarla in qualcosa che la liberi dal suo corpo oggetto di desiderio “ mutami e toglimi questa figura che troppo mi fù cara” . Il padre, dapprima riluttante, infine acconsente trasformandola in un albero di alloro ( Dafne in greco significa alloro)ma, mentre le sue estremità si trasformano in arbusti frondosi, Apollo l’afferra e la fa sua dicendo che sarà per sempre il suo albero. Ma diventa un albero appunto , cioè aria, perché ogni albero dalla vasta chioma è simbolo dell’aria. Dafne è dunque la metafora della psiche umana incatenata al proprio io e alle sue pulsioni, riluttante all’opera alchemica che diventa per sempre aureo crine, cioè intelletto vergine. E l’intelletto mi fa pensare all’ego, che è dal lato opposto dell’es, che è natura. Ma non è solo la donna ad essere accogliente, lo può essere anche un uomo . Però la “pancia” è della donna. E l’accoglienza, anche del sé, è femminile. Ma allora che cos’è il maschile? Vir? Forza? Ma quanta forza c’è nell’accogliere allora? No, non va bene.
Ma torniamo alla definizione di cosa è il maschile: E’ Apollo, dio del Sole, irruento e appassionato ma ancora meglio: è penetrazione. Quello da cui Dafne fuggiva e non potendo liberarsene si trasforma, un po’ come abbiamo fatto noi donne a partire dalla nostra generazione più o meno: abbiamo conquistato posizioni, cariche e potere ma ci siamo fossilizzate, imbalsamate, irrigidite. Siamo diventate alberi. Mi chiedo quando il femminile ha deciso di accogliere meno. Quando ha messo un recinto, chiuso i battenti con lucchetti , quando si è trasformato in intelletto vergine? Quando si è stancato dell’irruenza maschile probabilmente.
Penso alle parole di una femminista d’antan, sagge parole: “ Non era così che intendevamo , o perlomeno intendevo io, il femminismo – e nel mentre lo diceva, ammiravo incantata la sua solita inimitabile grazia per la quale mi sarei iscritta ad un corso universitario se fosse esistito questo indirizzo: lezioni di grazia – io semplicemente volevo il mondo meno maschile – ci tenne a precisare – meno violento, meno guerriero. E invece le donne si sono trasformate in uomini, hanno messo i tacchi alti, la gonna corta, sono andate all’attacco, hanno preso posti di potere si sono insediate usando le stesse armi del maschile” cioè penetrando. “Ho ancora memoria” fa dire al suo protagonista Barney Panofsky nel bellissimo romanzo “ La versione di Barney” (di Mordecai Richler) prima di entrare nel magico mondo dell’Alzeheimer . Ricordo come fosse ieri i mutamenti avvenuti negli anni Settanta. Ricordo mia madre e mia nonna cominciare a mettere i primi paletti sul concetto sempiterno dei diritti ereditari maschili a scapito di quelli femminili, e ricordo le proteste irruente e persino violente dei maschi abituati da sempre ad ottenere privilegi maldestramente e illegittimamente sottratti alle donne. Ricordo la mia reazione istintiva e spontanea nel parteggiare verso le donne in generale anche se ero poco più che bambina. Forse io stessa è da lì che ho cominciato a comportarmi come se dovessi gareggiare con l’altra parte di me che veniva sempre più derisa e soffocata a scapito di quella bellicosa che emergeva trionfante, come fossi un soldato romano che conquista una colonia italica. Il problema è che il soldato invecchia e si chiede se è valsa la pena guerreggiare tutta la sua vita. Se non era meglio fare il pescatore come suo nonno e suo padre, che forse sarebbe stato più felice anche se avrebbe visto meno, certo. Insomma siamo andate contro natura, per certi versi, e quando vai contro natura succedono disastri ecologici di portata apocalittica.
Ma se il femminile è accoglienza chi dovevamo accogliere in primis ? Noi stesse. Dovevamo ascoltarci e darci appello. Invece abbiamo optato per la metamorfosi e ci siamo perse nel caos. E con noi anche gli uomini si sono persi. Ma non è colpa di noi donne tengo a precisare. E’ colpa del tempo che non da più tempo. E’ colpa di questo mondo irruento che arraffa e depreda la natura. Le nature. E tutto si modifica, muta velocemente e perde senso. Il mondo non si dà più accoglienza. Debilita il femminile e la grazia. E che cos’è la grazia se non il ricongiungimento con il divino? “ Era in uno stato di grazia” parole che spesso ho pronunciato per definire una persona che aveva raggiungo l’apoteosi.
Apotheos , da Dio. Cioè una persona che accoglieva in pieno la sua natura.Questo è il femminile. Non a caso le donne sono state spesso oggetto di venerazione ma anche di persecuzione, in quanto detentrici naturali del concetto dell’accoglienza. Si pensava che accogliere di tutto non fosse sano, che si dovesse dividere tra bene e male prima di permettere l’ingresso a ciò che invece è istintivo e naturale.
In una piccola poesia senza senso che ho scritto qualche tempo fa le ultime due strofe mi sembrano davvero adatte al tema:
Il sole che veneri al mattino/ è opera di un Dio che non appare.
Forse sarebbe il caso di non badare più all’apparenza e cercare il Dio che non appare, perché è quello che ti dà il vero senso delle cose, anche delle più piccole e minuscole da risultare quasi invisibili. E questo che ci forma e ci dà la vera forma.